Prima edizione – Sonzogno, Milano, 1942

Altre edizioni:

  • Sonzogno, Milano, 1944


Cominciai a trascorrere le giornate in campagna. Quella campagna, io la odiavo: era per essa che dovevo rinunziare a prendermi una laurea e a vivere in città. La città era la mia aspirazione suprema. Non sapevo esattamente che cosa vi avrei fatto, ma sentivo che lì mi attendeva la vera vita. Eppure, la campagna non era cattiva. Mi ci ero accostato per obbligo, con diffidenza, con animosità, ma mi accorsi presto che quella vita tranquilla e contemplativa aveva un suo fascino. Sorvegliare i contadini? no, questo no. Portavo con me un libro e leggevo sdraiato all’ombra di un albero, o facevo lunghe escursioni sui monti circostanti, rimanendo per ore ed ore ad ammirare il mare lontano e a seguire i fantasmi che mi turbinavano per la mente. Sapevo che quella vita era provvisoria e non avevo nessun programma per il domani; ma pensavo all’avvenire con quel desiderio che tutti abbiamo di collocare le nostre speranze in qualche cosa di lontano e di misterioso.
Di tanto in tanto, stavo anche vicino ai contadini, ma non per sorvegliarli: mi piaceva intrattenermi con quella povera gente primitiva e devota. Avevo letto sui libri che esistono al mondo dei miserabili le cui condizioni di vita sono abominevoli, ma non immaginavo che quei miserabili fossero così vicino a me. E la mia anima fu profondamente colpita dallo spettacolo di miseria che mi offrivano quegli umili. Lavoravano tutto il giorno, dall’alba al tramonto, non mangiando che un pezzo di pane e qualche piatto di verdura: avevano le guance incavate per fame atavica; abitavano in campagne innominabili, in una promiscuità ripugnante, spesso in compagnia di maiali ed altre bestie. Nè concepivano un’esistenza diversa: accettavano la loro condizione come voluta da Dio, e nessuno spirito di rivolta, nessuna aspirazione verso un tenore di vita più umano scuoteva le loro anime, incallite nella miseria.
Quando mi provavo a catechizzarli, a parlare loro dell’avvento di un’era nuova, in cui sarebbe finito lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, in cui l’uguaglianza e il lavoro sarebbero state le nuove leggi dell’umanità, di tutta l’umanità, si mettevano a ridere esclamando: – Eh, al baronino piace sempre scherzare! Strano, mi ero creato presso di loro una fama di ragazzo faceto e spensierato. E, invece, a quella umanità nuova, ci pensavo davvero, ci pensavo sempre più.

da Le frontiere dell’impossibile – Sonzogno, Milano, 1944 – pag 77-78



Ella indossava un abito bianco, che metteva in rilievo la grazia del suo corpo sottile e perfetto, e bianco era il cappellino, da cui sfuggivano alcuni ricci di un purissimo biondo. Camminava senza fretta, guardandomi di tanto in tanto con quei suoi grandi occhi, in cui era una straordinaria espressione di dolcezza, di fragilità e di fierezza insieme, e una tristezza e un’austerità che suscitavano la simpatia e il rispetto. Anche il suo sorriso conservava sempre un’indefinibile sfumatura di malinconia. E la luce pioveva sul suo viso severo, sulle ciglia, sul vestito bianco che le copriva i seni ben modellati, su tutta quella evanescente figura di grazia e di sogno.
Ero al suo fianco appena da cinque minuti, e già tutti i miei frivoli sentimenti – l’orgoglio del conquistatore, il pensiero del possesso, il piacere di essere notato accanto ad una creatura così elegante – erano svaniti, per dar luogo a un delizioso senso di pace e di fierezza.
Ci sedemmo su un sedile. Ella mia raccontò le peripezie attraverso le quali era riuscita a fuggire della Russia e a raggiungere la sua famiglia a Bucarest. Io le parlai della mia vita, delle mie idee, della mia fede in un migliore avvenire dell’umanità, della mia sete di battaglie e di gloria. Ella mi ascoltava con interesse, guardandomi di tratto in tratto con occhi di simpatia.

da Le frontiere dell’impossibile – Sonzogno – Milano – 1944 – pag 105



Eccomi, dunque, anche sotto inchiesta. Adesso ero al corrente di ciò, mi stupivo che i bolscevichi non mi avessero subito arrestato e che mi trattassero, invece, con tanti riguardi. Comunque, la mia reputazione di rivoluzionario puro minacciava di essere compromessa; sentivo che in altri tempi avrei reagito contro questa minaccia con feroce energia, che mi sarei difeso strenuamente contro quel gaudente camuffato da comunista, il quale, contando su alcune circostanze che non si erano verificate, tentava di scagionarsi con un ignobile trucco delle sue malefatte. Ma non avevo più nessuna forza di volontà: inebetito da quanto mi era accaduto, ossessionato dal pensiero di mia moglie e di mio figlio, avvilito dalla dimostrazione dell’altrui malafede, ero profondamente demoralizzato; e l’atmosfera di sospetto, che mi aveva turbato fin dal mio arrivo in quella città, sembrava ora soffocarmi. Non avevo più che un desiderio: fuggire, andare lontano, non importava dove, pur di sottrarmi a quella tortura.

da Le frontiere dell’impossibile – Sonzogno – Milano – 1944 – pag 267