Prima Edizione – Cappelli Editore, Bologna, 1936
Altre edizioni:
- Reparto agitati – poesie 1936 – Pancallo, Locri, 2007
NON TI SCORDAR DI ME…
Donne ch’ho amate… Se mi volgo indietro,
le vedo quasi in una nebbia d’oro,
evanescenti : non ho chiuso il loro
ricordo in una scatola di vetro.
Vedo una strada ingombra di fantasmi
pallidi, se mi volgo; e dànno al cuore
un senso di tristezza e di stupore,
dopo i deliri, dopo gli entusiasmi…
Donne ch’ho amate… Oh Dio!, piccole donne:
fiori colti, passando, nel giardino
del mondo e il cui profumo, acre e divino,
talor s’effuse in una notte insonne.
Donne ch’ho amate : alcuna traboccava
d’un bisogno ineffabile di bene,
di dedizione; e delle sue catene
godeva il cuore della dolce schiava.
Altre, esperte di filtri, come maghe
sapienti, prodigarono sottili
lenti veleni all’anima; gentili;
altre, incorporee, d’un sorriso paghe.
Ma un’altra splende ancor come una stella
sui naufragi dell’anima e dispare.
Incontrata in un treno? Al lupanare?
per via? Non so: l’ho amata ed era bella…
Non mi son chiesto dove siano, come
vivano e se mi pensino : di tanto
in tanto un fugacissimo rimpianto
l’eco d’un verso, il balenio d’un nome.
E se, mi volgo, appena, le intravedo:
con dentro gli occhi due tremanti stille,
talvolta, o amare, o ironiche, o tranquille,
come le vidi all’ora del congedo.
Oh tra le frasi più stereotipate,
fra gli auguri di bene e di fortuna
– Non ti scordar di me ! – mi disse ognuna.
E tutte quante le ho dimenticate.
Una soltanto – ed il suo volto appare
sui miei naufragi, simile a una stella –
«dimenticami!» disse; e quella, quella,
non l’ho potuta mai dimenticare…
da Reparto agitati – Cappelli Editore, Bologna, 1936 – pag. 83
LA VERITA SULLE FORMICHE
Ricordate quali esempi,
quando ancor s’era fanciulli
(ma fanciulli d’altri tempi,
saggi, creduli, un po’ grulli),
i maestri petulanti,
tutti uguali su per giù,
ci mettevano davanti
per spronarci alla virtù?
quando il libro inconcludente
della terza elementare
ci sembrava l’esponente
d’una logica esemplare,
con proverbi di riguardo,
traboccanti di giudizio
«l’ozio è il padre d’ogni vizio»,
«tanto va la gatta al lardo…»,
«raglio d’asino (pensate!)
non ha mai raggiunto il cielo».
Queste trappole, stampate,
ci sembravano vangelo.
Fra le massime più antiche,
una, alquanto singolare,
ci esortava ad imitare
le saggissime formiche.
Tutte dedite al lavoro,
silenziose ed ordinate,
le formiche fan tesoro
dei bei giorni dell’estate;
con tenacia eccezionale
si provvedon per l’inverno,
noncuranti dello scherno
delle querule cicale,
non corrose dalla tabe
della subdola ambizione:
tutte queste erano fiabe
che beveva il credulone ;
perché adesso, se Dio vuole,
un filosofo scienziato
finalmente ha smascherato
queste ipocrite bestiole.
L’uguaglianza del lavoro?
Se coi metodi più ignavi
incoraggian fra di loro
il commercio degli schiavi
È un ammasso d’usuraie,
di predoni delinquenti,
di regine prepotenti
che divoran le operaie.
Han le leggi più immorali,
più malefiche, più storte:
senza tanti tribunali,
la ragione è del più forte
e gli aculei più potenti,
le mandibole più salde
han diritto a celle calde
ed a cibi succulenti.
Dàn la caccia ad un insetto,
che secerne un succo immite
ch’ha su lor lo stesso effetto
che sull’uomo ha l’acquavite:
con ignobili mercati,
qualche volta, al produttore
del terribile liquore
dànno in cambio i propri nati.
Nè per esse il troppo stroppia:
in moltissime tribù,
una femmina s’accoppia
con sei maschi ed anche più;
ed in barba alla morale
certi comodi mariti,
pur di fare i parassiti,
incoraggiano il rivale…
Sono poi così voraci
e tra lor così nemiche,
che talvolta son capaci
di mangiarsi tra formiche,
così forte è l’odio!… E poi
si vorrebbe che la gente
le imitasse! Ma è evidente :
le formiche imitan noi…
da Reparto agitati – Cappelli Editore, Bologna, 1936 – pag. 145
SALA ANATOMICA
Il cuore! … L’arcigno maestro,
toccando l’inerte materia,
spiegava: «L’aorta, l’arteria
succlàvia, il ventricolo destro
(è quello che meno lavora:
dà il sangue ai polmoni soltanto)…»
Gli allievi, distratti, di tanto
in tanto guardavano l’ora.
La sala faceva l’effetto
d’un acre macello. Io fissavo,
sgomento, quel muscolo cavo,
che un giorno pulsò dentro un petto:
il cuore! Guardavo quel cuore
gettato su un tavolo rude:
è questo che dentro racchiude
i sogni, la vita, l’amore?…
«Difeso da un osso: lo sterno»
Difeso? Se un urto può farne
la povera cosa di carne,
oggetto di studio e di scherno,
che un vecchio, saputo e ridicolo,
maneggia con calma perfetta!
«Vediamo più qua l’orecchietta,
che scarica il sangue al ventricolo…»
Dio mio, l’orecchietta! E il mio cuore
è identico a quello (il cuor mio!):
un urto, una scossa ed addio
i sogni, la vita, l’amore!
Di tutta la gloria e l’ignavia,
di tutto il fardello che porta,
non resterà più che l’aorta:
l’aorta e l’arteria succlàvia…
Ma, dunque, il mio sacro ideale
può spegnersi a un soffio improvviso?
E tu, dall’eterno sorriso
di bimba, speranza immortale,
perché mi lusinghi e conduci
nei tuoi paradisi celesti,
fra sogni divini e funesti,
fra dolci ed effimere luci,
se solo di vero, d’umano
non c’è che il minuto che fugge
con l’ala che batte e distrugge
le rose, che odorano invano?…
«Domani l’esofago…» Oh bravo!
Salute, signor professore!
E usciamo all’aperto; ma il cuore,
stasera, è più vuoto, più «cavo»:
non trovo l’amore, né l’estro,
né i sogni, né il sacro ideale.
Qualcosa, non so, mi fa male:
è, forse, il ventricolo destro!
da Reparto agitati – Cappelli Editore, Bologna, 1936 – pag. 23