Prima Edizione – Radio Italiana – Torino – 1956
Altre Edizioni:
- Franco Pancallo Editore, Locri, 2009
UN MESSAGGIO AI POSTERI
1939. Si inaugura a New York la grande Esposizione intitolata al “Mondo di domani”. In una cripta, che dovrà essere aperta solo fra 5000 anni, sarà murata una minuziosa documentazione delle conquiste realizzate in questa nostra epoca nei campi della scienza, dell’industria e dell’arte: il tutto accompagnato da un nobile messaggio degli uomini d’oggi agli uomini del 6939.
Un bel messaggio stile Novecento
(il superbo progetto è già in esame),
riposto in un proiettile di rame,
murato in una cripta di cemento,
sarà trasmesso agli uomini dell’anno
seimilanovecentotrentanove,
che le più chiare e più brillanti prove
del nostro ingegno vi ritroveranno.
Quei posteri, commossi, in bella mostra
vi potranno ammirar, messaggio, a parte,
le meraviglie che l’industria e l’arte
scodellano felici all’età nostra:
accanto a un film avventuroso e frivolo,
un manichino in abito di gala;
ridotti ad un centesimo di scala,
un treno, un’automobile, un velivolo,
e tutto ciò che ci contraddistingue
nell’arte, nella scienza, nell’indagine
sarà esaltato in ventiquattro pagine
d’un giornale stampato in dieci lingue.
Un comitato apposito compila
già quel messaggio e con parole alate
s’accinge forse a scrivere: « Guardate
l’opera nostra, o genti del Seimila!
Siamo riusciti a rendere la vita
facile bella comoda fastosa.
Una rapidità vertiginosa
è il segno della Terra impiccolita.
Abbiamo in mano ordigni d’ogni spèce,
che ci dànno la pace, l’abbondanza,
la salute, il benessere… In sostanza,
stiamo benone, o posteri! UNA PRECE».
Signori del Seimila, ci si narra
che voi sghignazzerete con disprezzo,
voi che tutte le sere in « astromezzo»
andrete fra le stelle a far gazzarra.
Io sono invece più ottimista e spero
che voi sorriderete a quel messaggio,
soltanto perché un secolo più saggio,
avrà scaltrito l’uomo avventuriero,
sicché scoprendo, a Nuova York o altrove,
quei diabolici ordigni decaduti,
compiangerete gli uomini evoluti
del millenovecentotrentanove,
voi che, guidati dall’intelligenza,
lasciato il fluido elettrico e il petrolio,
sarete ritornati al lume ad olio,
all’archibugio ed alla diligenza.
da Radiocronache rimate– Franco Pancallo Edizioni – 2009 – pag 19-21
LA MORTE D’ORO
Un giovane maomettano, figlio del più ricco mercante di Serajevo, dilapidato in tre mesi il patrimonio avito, si uccide con una pallottola d’oro.
Non so nulla di lui: semplicemente
dodici righe lette su un giornale;
eppure, lo rivedo tale e quale
com’egli fu, magnifico incosciente:
posso quasi affermar che conoscevo
il più ricco signor di Serajevo.
Mohamed, era lui: bello, elegante,
in ” smoking ” od in ” frak “, occhio in vetrina,
un po’ velato dalla cocaina,
nonché dall’ombra del suo sogno errante,
sorriso amaro, dita affusolate;
tipo « scettico blu », lo ricordate?
Era colui che il suo castello avito
offre in omaggio ad una cortigiana,
o che s’accende il sigaro d’avana
con un foglio da mille un po’ sgualcito.
Pel cameriere, alquanto più modesto,
era « il signore che non prende il resto».
Era colui che entrando in una bisca,
con quel suo fare tra annoiato e stanco,
si ferma sulla porta e chiede: « Banco! »
senza nessuno che gli garantisca
se sia fra gentiluomini o fra bari,
se arrischi tre milioni o tre denari.
Era colui che nella fiamma gialla
del suo sogno si tuffa, in un baleno
di suprema letizia, e, poi vien meno,
senza rimpianti, come una farfalla…
Visse un’estate, breve ma divina,
il signor Mohamed, e andò in rovina.
L’orafo industre, che nei dì felici
aveva cesellato con le esperte
mani le gioie più smaglianti, offerte
alle contesse ed alle meretrici,
fuse per lui con scrupolosa cura
un proiettile d’oro su misura.
Così quel cuore, ligio alla sua sorte,
che già dall’oro aveva ricevuto
vita ed oblio, minuto per minuto,
dall’oro stesso ricevè la morte.
La palla d’oro in una rivoltella:
lo riconosco, la trovata è bella.
Peccato! Visse in epoca di crisi,
in questa nostra età gretta ed avara;
fosse vissuto ai tempi della cara
Margherita Gauthier, morta di tisi!
Avrebbe prodigato alle sue amanti
camelie tempestate di brillanti.
E si sarebbe ucciso in un palchetto
dell’Operà, portando lo scompiglio
fra un second’atto e il terzo; e Dumas figlio,
se la strana notizia avesse letto,
avrebbe scritto un ultimo lavoro
immortalando quella morte d’oro…
Mentre il suo gesto splendido e cretino,
nel secolo agitato in cui viviamo,
non interessa più, non ha richiamo,
s’esaurisce così, senza destino:
dodici righe appena su un giornale
ed un commento: « Bell’originale! ».
O s’esaurisce nella strofa rude
d’un vate scanzonato e vagabondo,
che non s’affanna a intenerire il mondo,
ma che narra il fattaccio e ne conclude,
in modo piatto, semplice, borghese:
con quella palla. ci campavo un mese!…
da Radiocronache rimate– Franco Pancallo Edizioni – 2009 – pag 29-31
NOSTALGIE CULINARIE
Nel quarantesimo anniversario della sua morte, è stato solennemente commemorato a Forlimpopoli, sua città natale, Pellegrino Artusi, autore del famoso manuale “La scienza in cucina”.
E’ stato celebrato a Forlimpopoli
l’illustre cuoco Pellegrino Artusi,
che in tempi più felici e meno ottusi:
« Cucina – proclamò – gloria dei popoli! ».
Eran tempi più semplici e più buoni,
in cui la pasta asciutta era importante
e la gente, più saggia e benpensante,
non si chiedeva ancor: « Burro o cannoni? ».
Oggi che la saggezza è andata in ferie,
anche la buona tavola è finita:
ai popoli più forti offre la vita
cibi in conserva preparati in serie.
Nelle semplici case e nei castelli,
in non lontani dì, più che una stanza
la cucina era un regno d’abbondanza,
ingombro di dispense e di fornelli;
nei grattacieli, il posto riservatole
è adesso un buco: quando c’è, s’intende,
perché nemmeno il fuoco oggi s’accende:
gli americani rompono le scatole…
Ed a che serve aver le bombe atomiche,
quando la gente più civilizzàta,
in tutt’altre faccende affaccendata,
ignora le delizie gastronomiche?
E non capisce, un mondo andato a male,
che solo il mangiar bene affina il gusto
della pace fra i popoli, ed è giusto:
a tavola concorda ogni ideale.
Ed è legato ai pasti anche l’amore:
l’amore è come un piatto delicato
che dolcemente stuzzica il palato,
e passa per lo stomaco e va al cuore.
Son soprattutto i cibi cotti male
che ci rendon nervosi ed irascibili,
e, provocando liti inesauribili,
avvelenan la pace coniugale:
se la signora dedicasse all’arte
della cucina tutti i propri sforzi,
ecco evitati scandali e divorzi,
se non in tutto, almeno in buona parte.
Felici i nostri padri, ed io li invidio:
senza troppo pensarci, uomini a modo,
nel grasso, negl’intingoli, nel brodo
affogavan sereni ogni fastidio;
e collocavan l’arte cucinaria
fra le necessità, non fra i capricci,
mentre oggi, ahimé, con tutti i suoi… pasticci,
c’è mezzo mondo che si nutre d’aria!
da Radiocronache rimate– Franco Pancallo Edizioni – 2009 – pag 59-61
NON VI CAPISCO UOMINI!
Ad Abbazia un signore è finito all’ospedale, percosso dalla moglie inviperita, la quale si era accorta che egli, per accertarsi se i funghi fossero mangerecci o velenosi, con varie scuse li faceva prima assaggiare a lei.
Non vi capisco, o uomini! La morte
vi terrorizza: appena v’è davanti,
sbarrate gli occhi, pallidi, tremanti,
chiedete aiuto, urlando così forte,
se vi rimane ancora un po’ di fiato,
da disturbare tutto il vicinato.
Io non vi vedo correre sull’onde
– vili! – neppure quando il mare è bello;
e per salir su un solido vascello,
che vi conduca in non remote sponde,
pretendete per voi personalmente
almeno una scialuppa e un salvagente.
Se appena un raffreddore vi minacci,
fate ricorso alla penicillina;
quando sentite dir che s’avvicina
un’altra guerra, diventate stracci,
e studiate già, battendo i denti,
piani d’avventurosi sfollamenti.
Se poi, per caso, un uomo allampanato
vi dà la mano in segno di saluto,
correte a casa vostra e in un minuto
stroncate col fenolo o il sublimato
i presunti bacilli… Ebbene, voi,
dinanzi ai funghi, diventate eroi.
Nulla vi ferma: a un vago odor di funghi
dilatate le nari delirando,
v’affrettate a raccoglierli danzando
e, senza esami complicati e lunghi,
« Porcini! » urlate e in comitiva o singoli
li divorate in delicati intingoli.
Dinanzi alla crittogama fatale,
qualche volta il pensiero dell’avello
vi turba tuttavia; ma non è bello
(per poi finir lo stesso all’ospedale)
che, quando il dubbio amletico vi coglie,
giochiate con la pelle della moglie!
da Radiocronache rimate– Franco Pancallo Edizioni – 2009 – pag 116-117
PATRIA
La signora Ida Macchi, emigrata da lunghi anni negli Stati Uniti, essendo condannata a perdere la vista, s’è imbarcata a New York per l’Italia, allo scopo di rivedere la patria, prima di diventare completamente cieca.
Ida ritorna al suo paese: vuole,
prima che agli occhi affaticati e stanchi
la dolce luce eternamente manchi,
riveder la sua patria ed il suo sole.
Ne ha girato contrade, ma nessuna
è bella come questa, ov’ella è nata,
da dove il babbo con la nidiata
salpò (quant’anni!) in cerca di fortuna:
una povera patria, che dispensa
a piene mani effluvi e sole ed aria,
mentre non può, la « Grande Proletaria »,
accoglier tutti i figli alla sua mensa.
Ed i suoi figli emigrano a milioni
per terre ignote, per ignoti mari,
a sospirar, nei nuovi focolari,
questa terra d’amore e di canzoni.
Poter fuggire, prendere un vascello,
un aeroplano, è il sogno che li ammalia.
E, chi rimane, vede in questa Italia
quel che c’è di più brutto o meno bello:
ladri di « bici », scandali a catena,
« sciuscià » che ignoran pure il sillabario,
ed una folla di parer contrario
in lotta con il pranzo e con la cena.
Fuggire via… Ma un giorno, in riva al Gange,
in riva al Congo, all’Hudson od al Nilo,
come un sublime e benedetto asilo
questo paese l’anima rimpiange;
e non c’è al mondo, quando s’è lontani,
terra più dolce e bella. Onde, signora,
a voi la vista Iddio conservi ancora
ed apra gli occhi a tutti gl’italiani,
che trovin questa patria benedetta
e bella pur restandole vicino,
anche se, fatalmente, un bel mattino
si vedranno sparir la bicicletta.
da Radiocronache rimate– Franco Pancallo Edizioni – 2009 – pag 135-136