Prima edizione – Tumminelli, Roma, 1936



CANTO TERZO

Mente, degli anni e dell’oblio nemica,
De le cose custode e dispensiera,
Vagliami tua ragion, sì ch’io ridica
Di quel tempo ogni capo ed ogni schiera.
Ed il Signore li stramaledica.
Poi che dier prova d’ingnominia vera,
Rinnegando ogni legge ed ogni fe’,
Per far piacere al negro Sellassiè!

Prima gli Angli mostruosi: il duce loro,
Ch’era già stato il molle Macdonaldo
E forse non nutria verso il re moro
Sì dolci sensi ed un amor sì caldo,
Tosto si ritirò senza decoro,
Cedendo il posto ad un guerrier più saldo,
A quel fiero Baldwino che cotanto
Ho già lodato nel primiero canto.

Vasto è il suo regno e vasta la cuccagna
che da un secolo in qua fan le sue genti;
Le terre tutte che l’oceano bagna
Soggette ei tien sui cinque continenti;
E mentre grande altrove è la micragna,
Ei sempre ha in moto i suoi dorati denti,
Chè, non mai sazio e senza alcuno scorno,
Suol consumare cinque pasti al giorno.



CANTO TREDICESIMO

Era il petrolio una gentil sostanza,
Ambita assai per quanto puteolente,
Chè chi ne possedeva in abbondanza
Diritto avea d’imperio, onde qualmente
In ogni loco ov’esso aveva stanza
Trovavi gli Angli inevitabilmente,
Che con intrighi obliqui e alquanto sozzi
S’accaparravan gli agognati pozzi.

Ben s’avvede Baldwin che le sanzioni
Gran danno non faceano allo Saivale,
Dove prenci e plebei, bimbi e vecchioni,
Uniti nello sdegno universale,
Dìoro e d’acciaio a pruova offrivan doni:
Chi dava il letto e chi la fè nuziale,
Chi le medaglie vinte in un arengo,
Come il gran Guerra e il prode Girardengo.

Chi una chiave donò, chi un vecchio scudo,
Chi di ferro portò pentole a gara;
E taluno dicea: – Resterò nudo,
Ma la perfida Albion la paghi cara!… –
– Perché, padron Baldwin, sei così crudo? –
Chiedea Lavallo con la voce amara,
Chè per capello aveva molti diavoli,
Non riuscendo a salvar cara con cavoli.



CANTO SEDICESIMO

Poi che la tema di futuro danno
con sollecito moto il cor gli scote,
Magre proposte formula il Britanno,
Destando un’eco di rabbiose note:
Eden conservator grida all’inganno,
Herrioto radical gonfia le gote,
Onde per tal cagion discordie e risse
Avvampano dovunque ad ore fisse.

Ma per le voci altrui, non già s’allenta
Ne l’anglo paladin l’impeto e l’ira:
Con Hoare abbatte insiem quanti altri tenta
Chiudergli il varco, ed a vendetta aspira;
Gl’iniqui strali su l’Italia avventa
E la fulminea spada in cerchio gira;
Piomba a Ginevra e qui, vieppiù feroce,
Dinanzi ai suoi Dieciotto alza la voce:

– So ch’io m’appiglio al torto; e al torto sia!
Ma un desiderio sol m’ange e trasporta:
A una guerra mondial vo’ dare il via,
O che l’Italia si dichiari morta, –
Così gli parla in cor la fellonia,
Ma sì fa male i conti, anima storta!,
Chè qui le cose vanno a gonfie vele,
Ed è perciò che gli trabocca il fiele.

Volge il tergo a la forza ed al furore
Il disperato esercito abissino;
E mentre in patria il povero e il signore
Dàn felici la fe’ d’oro zecchino,
Ali ha ciascuno al piede ed ali al cuore:
Sì che già quasi, in barba a ogni Baldwino,
Da centomila voci unitamente
Addis Abeba salutar si sente.