CAVALIERE ALBERTO. 
La proposta di legge riguarda una modesta e limitata categoria di subalterni, i quali, fra tutti i dipendenti dello Stato, possono dirsi i più sacrificati. Parlo dei subalterni delle pubbliche biblioteche.
Premetto che il decreto presidenziale 3 maggio 1955, 11. 448, all’articolo 4 così dispone: “I dipendenti statali appartenenti ai ruoli organici del personale subalterno in servizio da data anteriore al 10 maggio 1948 e che almeno da tale data svolgano esclusivamente e permanentemente mansioni di archivio che, secondo l’ordinamento delle carriere delle amministrazioni dello Stato alle quali appartengono, spettano al personale di gruppo C, possono essere ammessi, a loro domanda, nel grado iniziale dei ruoli organici di gruppo C, con effetto dalla data di entrata in vigore del presente decreto e, ove occorra, anche in soprannumero”. Non ha tenuto conto, quel decreto, che i subalterni delle biblioteche, assunti con la semplice qualifica di “fattorini”, prima della guerra, o durante la guerra, anche muniti di titolo di studio, sono stati utilizzati in compiti e mansioni superiori, a volte di gran lunga superiori, al grado che essi ave-vano, perché ha badato l’amministrazione più alla capacità che alla qualifica.
Tale utilizzazione, tuttavia, anche se prevalente, non ha avuto carattere esclusivo e permanente, cosicché ha urtato contro le esigenze di permanenza e d’esclusività imposte dall’articolo citato.
Poiché di quell’articolo hanno potuto usufruire pure i dipendenti immessi dal governo militare alleato nella amministrazione del paese, anche quando mancavano di titolo nonché di tirocinio, con qualifica di gruppo C (di gruppo B taluni), di fatto è un’ingiustizia assai palese che s’è verificata nei confronti di elementi più anziani e più sfruttati, comunque sottoposti per lunghi anni ad impieghi di lavoro, come ho detto, assai superiori alla qualifica.
La mia proposta è intesa a eliminare questa difformità di trattamento, senza voler con questo contraddire, si capisce, i1 principio generale per cui nei ruoli, insomma, in pianta stabile, s’è assunti per concorso o per esami. Del resto, questa regola ha sofferto già diverse eccezioni, come quella della disposizione già citata.
Penso che sia logico ed umano quest’atto di giustizia che propongo, tanto più, onore- voli colleghi, che la portata finanziaria è minima, ed il bilancio non ne soffrirà. Sarebbero a soffrirne, viceversa, se la proposta non venisse accolta, alcuni onesti padri di famiglia, che, pur essendo solo fattorini, in quelle biblioteche avranno letto questa massima eterna: “La giustizia spesso è sorella della carità”, o quest’altra, più classica e più nota: Jus est urs boni et aequi.
Mi permetto, signor Presidente, di chiedere l’urgenza.