CAVALIERE ALBERTO.
Non intendo certo affrontare e nemmeno sfiorare una discussione di natura finanziaria, perché fra tanti illustri competenti mi sentirei come il manzoniano vaso di terracotta in mezzo a tanti vasi di ferro. Tuttavia, nonostante la mia fragilità, vorrei fare qualche apprezzamento su queste nuove radio-tassazioni.
Fra gli aggravi ficcali predisposti dal Governo – il ministro mi perdoni – posso pure sbagliarmi, ma mi pare che proprio questo, sotto certi aspetti, sia particolarmente inopportuno: inopportuno ed antipopolare. Verso la fine della relazione sul disegno di legge voi parlate di (( progressi costanti e lusinghieri segnati dalle radiodiffusioni I), ma sembra che per voi tali progressi siano troppo costanti e lusinghieri, per cui voi dite: è il caso di arrestarli, in modo che diventino incostanti, in modo che si adeguino pur essi alla bella incostanza nazionale e che più non lusinghino nessuno. Ma chi colpisce questa nuova imposta? Nell’Italia del nord è dimostrato che il 70 per cento di coloro che ascoltano le radio-trasmissioni appartiene alle classi popolari. Nell’Italia del sud, ove purtroppo la vita ha ancora aspetti trogloditici…(Proteste al centro). Signori, sono anch’io meridionale, ed ho veduto ancora ultimamente gente che vive in grotte ed in caverne sulle colline intorno al mio paese: si chiama Cittanova di Calabria. Nell’Italia del sud, ora, dicevo, si è pur riusciti faticosamente a introdurre la radio nei villaggi, a far sentire la necessità sociale di un contatto con il mondo. La radio è uno strumento di cultura, o per lo meno tale dovrebbe essere. E gravarla di tasse è un’eresia, come già vi hanno detto altri oratori. E molti d’essi v’hanno ricordato che i1 nostro è fra i pochissimi paesi dove gli &=ti pagano la radio, o per lo meno è certamente quello dove gli utenti pagano di più. Un aumento, perciò, credete pure, avrebbe una influenza negativa e verrebbe ad incidere senz’altro anche sul ritmo degli abbonamenti, che va crescendo coi miglioramenti e dei programmi e delle attrezzature. Io non mi unisco al maldicente coro di coloro che guardano alla R.A.I. con disprezzo, direi, totalitario. Salvo che nel servizio informazioni e nella propaganda clericale, dov’è applicato un metodo settario, nessuno può negare che i programmi, generalmente, sono molto buoni. Se ascoltate la radio americana o quella di nazioni più vicine, direte forse: al peggio non c’è fine! Comunque, con le radiodiffusioni, voi colpite un servizio di importanza sociale, culturale, educativa.
Per la televisione, non v’è dubbio – e son d’accordo anch’io – ch’essa purtroppo oggi è solo appannaggio dei più abbienti. E voi date ragione al nostro egregio collega Pieraccini, i1 quale osserva che, in Italia, soltanto al ceto ricco è consentito questo privilegio. Però, con questa imposta, voi minate una giovane industria promettente, tra le meglio avviate e produttive. Su tutto ciò concordo pienamente con quanto osserva il gruppo costruttori radio e televisione, il quale scrive: (( Indubbiamente questa tassa legittima la previsione di una riduzione del previsto sviluppo della televisione, di u n consolida- mento dell’attuale passività della gestione della R.A.I. e quindi, conseguenza ancora più grave, di una fatale minore richiesta del mercato, per cui le industrie sarebbero co- strette a ridurre i programmi di produzione e, in definitiva, l’occupazione operaia ».
Voi potrete obiettare, giustamente, che per dare gli aumenti agli statali occorre pure reperire i fondi. Ma colpire la radio è un grave errore. Dugoni e Pieraccini vi hanno dato l’indicazione della giusta via, l’indicazione della via migliore: perché colpisce alcuni miliardari, evasori del fisco ed evasori della morale, una categoria di sfruttatori e di speculatori.
Invito i colleghi che abbiano a cuore logica e buon senso, a votare per questo emenda- mento, per il quale chiedo lo scrutinio segreto.
PRESIDENTE. Domando se questa richiesta è appoggiata.
(è appoggiata)